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Documento respinto dalla direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista il 17 dicembre 2025

Fermare la guerra e le spese militari. Fare coalizione per la pace, il lavoro, il welfare

Siamo in una fase storica segnata da mutamenti rapidi e profondi, che investono gli equilibri internazionali, l'assetto politico europeo e le condizioni materiali delle classi lavoratrici e dei ceti popolari nel nostro paese. La crisi del neoliberismo, la ridefinizione dei rapporti di forza tra i blocchi imperialisti e la crescente militarizzazione delle economie e delle società europee stanno producendo una compressione strutturale dei diritti sociali, del lavoro e della democrazia, accompagnata da una preoccupante deriva autoritaria.

In questo contesto, le principali forze politiche del sistema mostrano una sostanziale convergenza sulle scelte strategiche di fondo, mentre le contraddizioni che attraversano il blocco di potere dominante aprono spazi politici nuovi ma instabili. Una fase di questa portata richiederebbe un'elaborazione collettiva all'altezza della complessità del momento e una capacità di iniziativa autonoma da parte di un partito comunista. Una riflessione altrettanto attenta avrebbe dovuto seguire i risultati delle elezioni regionali tenutesi il 23 e 24 novembre considerate da tutti un test di valenza nazionale. Di fronte a questi passaggi di grande rilievo, non si è sviluppato un confronto adeguato negli organismi dirigenti e il principale organismo politico del partito (il CPN) non è stato convocato. Questa assenza di dibattito non rappresenta un problema meramente organizzativo, ma un limite politico serio, che impedisce al partito di leggere la fase, assumere decisioni condivise e agire come soggetto collettivo.
Per questo motivo, i/le proponenti di questo documento, insieme ad altri compagni e compagne, hanno avanzato formalmente, ai sensi dello Statuto, la richiesta di una convocazione immediata del Comitato Politico Nazionale. Il presente documento intende contribuire a riaprire un confronto reale e necessario, individuando alcuni nodi politici essenziali su cui il partito è chiamato a misurarsi per uscire dall'attuale immobilismo e tornare a svolgere un ruolo utile nella costruzione dell'alternativa.

1) Unificare gli scioperi generali e costruire l'unità di classe.

Il 28 novembre scorso si è tenuto lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, mentre il 12 dicembre si è tenuto quello convocato dalla CGIL. A partire dalla positiva valutazione degli scioperi stessi, riteniamo che sia stato un grave errore arrivare alla convocazione di due scioperi generali senza che vi sia stato da parte delle diverse direzioni sindacali un serio tentativo di arrivare ad una proclamazione unitaria.
È infatti evidente che le piattaforme su cui gli scioperi sono stati convocati non erano identiche, così come assai diverse sono le pratiche sindacali da cui queste sono scaturite. È però altrettanto evidente che le ragioni per cui i lavoratori e le lavoratrici hanno scioperato nell'uno e nell'altro caso, talvolta in entrambi, sono largamente sovrapponibili: sia sul piano dei contenuti (dalla critica radicale alla finanziaria al no al riarmo e alla guerra per non citare che i pilastri maggiori), sia per quel che riguarda la consapevolezza della necessità di riprendere una pratica di lotta unitaria e radicale.
La coscienza che le politiche economiche e le politiche di guerra sono destinate a scaricarsi sulle spalle delle classi lavoratrici è diffusissima, come la certezza che per rovesciare questi provvedimenti è necessaria una forza che solo l'unità di classe può dare. In un contesto in cui l'unità sindacale tra CGIL-CISL e UIL è un ricordo del passato, con la CISL saldamente trasformata in una cinghia di trasmissione delle attività del governo, è indubbio che sia necessario porsi l'obiettivo di costruire, se non una nuova unità sindacale, almeno una unità d'azione tra tutti i sindacati che ritengono necessario riprendere la lotta di classe.

Per questo auspichiamo vivamente che tutte le organizzazioni sindacali si adoperino per questo fondamentale obiettivo e ci attiviamo per favorire ogni percorso che dal basso arrivo ad imporre, come è avvenuto prima del 3 ottobre correggendo errori precedenti, questo necessario livello di unità nella costruzione delle lotte.
Osservando gli scioperi generali e le richieste da essi avanzate si vede chiaramente come il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici non abbia oggi veri interlocutori politici. Basta pensare ai nodi centrali della mobilitazione: il contrasto alla finanziaria antipopolare del governo Meloni, la redistribuzione del reddito, la riduzione delle spese militari e l'abbandono delle politiche di guerra. L'opposizione di centro sinistra su questi temi non è assolutamente in grado di esercitare un ruolo reale, perché il PD non propone la patrimoniale, non critica il patto di stabilità all'origine dell'austerità, così come non pone il tema del disarmo. Di più: ha votato in sede europea per l'invio di armi capaci di colpire in profondità il territorio russo e per una proposta di "pace giusta" in grado non di porre fine alla guerra russo ucraina, ma di procrastinarla senza fine certa.
Le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici pongono quindi un problema di costruzione dell'unità sindacale e, insieme alle istanze popolari tanto diffuse quanto poco organizzate che vogliono fermare la guerra e impedire il riarmo, pongono altresì un problema politico di costruzione dell'alternativa.
Unità di classe e costruzione dell'alternativa sono i due punti fondamentali attorno a cui organizzare il lavoro politico dei comunisti e delle comuniste, per aggregare le forze necessarie, per fermare l'offensiva degli avversari, connotati dalla coppia liberismo austeritario/tendenza al riarmo e giustificazione della guerra; questi ultimi sono largamente egemoni in entrambi i maggior schieramenti politici.

2) Fermare la guerra, tagliare le spese militari, rilanciare il welfare

Così come il liberismo ha permeato negli anni scorsi i principali schieramenti politici, oggi assistiamo ad una corsa al riarmo che coinvolge il centro destra come il centro sinistra. Sul piano europeo assistiamo addirittura ad una forte opposizione alla proposta statunitense di arrivare ad una trattativa con la Russia in grado di porre fine all'evitabilissima e sanguinosissima guerra nel Donbass.
L'amministrazione Trump, nel suo avanzare un organico e reazionario piano che faccia i conti con la crisi che attraversa l'imperialismo statunitense, fa alcune proposte sensate. Significativamente: l'idea che la NATO debba smettere di espandersi, che l'Ucraina debba quindi restare fuori dalla NATO, che sia necessario aprire una trattativa a tutto campo con la Russia al fine di porre fine alla guerra in Donbass per addivenire ad un accordo di pace stabile, duraturo, in grado di portare sicurezza nel cuore dell'Europa per tutti gli attori.

Di fronte a questa ipotesi le élites dell'Unione Europea, dopo aver sottoscritto un vergognoso accordo economico con gli USA, che regala loro migliaia di miliardi, oggi si oppongono con tutte le loro forze a questa trattativa, proponendo il riarmo ulteriore dell'Ucraina e la prosecuzione del conflitto fino al raggiungimento di "una pace giusta".
Questa prospettiva insensata, fondata sulla prosecuzione del massacro del popolo ucraino e sulla distruzione del welfare al fine di liberare risorse da investire nella bolla finanziaria legata al complesso militare industriale, vede una vergognosa convergenza delle forze di centro destra con quelle di centro sinistra.

Non è un caso che oltre alla posizione guerrafondaia della Commissione Europea e di larghissima parte dei governi europei, il Parlamento europeo abbia assunto in più occasioni una posizione contraria all'apertura di un processo di pace ed indirizzata, al contrario, all'escalation militare. Emblematica a questo riguardo la risoluzione adottata a larga maggioranza dal Parlamento Europeo giovedì 27 novembre in cui, a partire da una visione alternativa a quella proposta dagli USA, si ribadisce, tra l'altro, che l'Ucraina è libera di decidere l'entrata nella NATO. Siamo di fronte, cioè, alla riproposizione senza mezzi termini di uno dei motivi principali per cui è scaturito il conflitto in Ucraina.
Lasciando perdere tutto il resto della deliberazione, che va nel senso di una escalation e un allargamento del contenzioso e del conflitto, Inserendo nel documento l'invito ai paesi membri ad appropriarsi dei "beni russi congelati", è bene notare come della maggioranza di 401 deputati che hanno votato per la guerra fanno parte Fratelli d'Italia, Forza Italia, il Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra.

È lampante che in tutta questa vicenda ci troviamo plasticamente di fronte allo scontro tra due destre, quella fascistoide che fa capo a Trump e quella tecnocratica che raggruppa le élites europee, in stretto rapporto con i neocon statunitensi a cui il PD è, a voler essere gentili, completamente subalterno.
Non a caso non si dice nulla contro l'aggressione alla Repubblica bolivariana del Venezuela. Un'azione illegale, aggressiva ed arbitraria dell'imperialismo statunitense contro un Paese sovrano, in flagrante violazione del diritto internazionale in linea con la nuova "Strategia di sicurezza nazionale" della Casa Bianca.

Di fronte a queste due destre lo stanco ritornello di scegliere il male minore si presenta come del tutto privo di senso. Quale sarebbe il male minore di fronte alla guerra in Donbass? Qui non si tratta di scegliere il male minore, cioè concretamente la padella o la brace, ma di sviluppare una posizione fondata sulla piena autonomia politica e culturale da entrambe queste destre. Non si tratta di scegliere a quale destra essere subalterni, ma di usare gli inediti spazi politici che vengono aperti dalle contraddizioni e dagli scontri tra le due destre per fare politica da sinistra.
Le parole d'ordine dell'indipendenza dagli USA, dell'uscita dalla NATO e della rottura della gabbia rappresentata da questa Unione Europea, possono acquistare in questo contesto un inedito consenso di massa. In una situazione in cui gli equilibri imperialisti preesistenti vanno in frantumi, il compito del partito comunista è quello di indicare e costruire la via di uscita da questa gravissima situazione in cui ci hanno portato tutte le élites, non certo di aggiustare i cocci o di fare i tifosi per l'uno o l'altro dei gruppi dominanti.
Occorre rompere la narrazione che ci vuole portare a scegliere tra Trump e Draghi: sono entrambi dalla parte del problema. Dobbiamo utilizzare il positivo fatto che litigano per proporre una strada che difenda gli interessi dei popoli europei contro le classi dominanti. Esattamente questa situazione di scontro tra le élites apre inediti spazi politici per costruire una ampia coalizione contro la guerra, le spese militari, il liberismo, la distruzione del welfare, dei diritti e dell'ambiente. Si tratta però di avere le idee chiare perché, come scriveva Seneca: "non esiste buon vento per il marinaio che non sa dove andare".

3) Le regionali

La necessità di scegliere con nettezza la strada dell'alternativa alla guerra, alle spese militari e al liberismo, è emersa chiaramente anche nelle elezioni regionali e i risultati che abbiamo ottenuto lo confermano.
Su 7 regioni che sono andate al voto, in 4 Rifondazione Comunista è stata interna al centro sinistra o addirittura al campo largo. In queste regioni le elezioni hanno sostanzialmente sancito la scomparsa politica di Rifondazione Comunista. In alcuni casi abbiamo concorso a presentare liste di coalizione che hanno ottenuto risultati imbarazzanti. In altri casi abbiamo sostenuto singoli candidati presenti in varie liste, a volte liste diverse nella stessa regione, contribuendo una volta di più alla scomparsa del progetto politico di rifondazione comunista.

Nelle altre tre regioni in cui siamo andati al voto abbiamo chiaramente scelto di partecipare in liste che si collocavano in alternativa agli schieramenti del sistema bipolare. Esse hanno raggiunto risultati numerici decisamente migliori. In tutte e tre i casi, Valle D'Aosta, Campania e Toscana, le liste a cui abbiamo dato vita sono diventate un elemento di aggregazione politica reale, mancando per pochi voti l'elezione in tutte e tre le realtà.
In assenza di un progetto politico nazionale, che poteva dare visibilità e sostanza al progetto dell'alternativa, si è trattato di un buon risultato che segnala la possibilità concreta che può e deve essere perseguita.

Di fronte alle forti contraddizioni che scuotono il blocco di potere dominante e che aprono inediti spazi di azione politica, di fronte alla subalternità del centro sinistra alla destra tecnocratica, è più che mai necessario riprendere con lena la costruzione di una coalizione contro la guerra, le spese militari, il liberismo e la distruzione del welfare, dei diritti e dell'ambiente. Una coalizione di tal fatta non può essere improvvisata e oltre ad una forte proposta politica richiede l'elaborazione di un progetto, di una cultura politica adeguata e la tessitura di forti legami sociali negli strati popolari del paese.
Per costruire uno schieramento popolare dell'alternativa, lontano da settarismi e moderatismi, serve il lavoro, l'intelligenza e la cultura politica di Rifondazione Comunista. Per questo proponiamo di sciogliere rapidamente i nodi che il partito ha dinnanzi a sé in vista delle prossime elezioni.

Non possiamo andare avanti navigando a vista o scegliendo il Campo largo come è accaduto in varie regioni. E' necessario che il partito decida chiaramente l'indirizzo politico che intende assumere a fronte delle novità politiche che si sono presentate e, superando l'attendismo che caratterizza la situazione attuale, scelga con chiarezza il terreno su cui lavorare. E' questa l'unica via perché tutto il partito sia messo nelle condizioni di operare per il conseguimento dell'obiettivo nei tempi necessari, evitando di trovarsi fuori tempo massimo di fronte a scelte non condivise e non gestibili a livello politico, sociale e organizzativo. Per questo proponiamo di arrivare rapidamente ad un referendum tra tutti gli iscritti e le iscritte per decidere quale indirizzo assumere. In una situazione di palese incapacità del gruppo dirigente di proporre una prospettiva unitaria, è bene che siano direttamente i compagni e le compagne a scegliere in modo che poi il partito possa lavorare su una direzione chiara. Lo dobbiamo fare entro l'inverno in modo che la primavera non sia solo una stagione climatica, ma possa rappresentare il tempo del rilancio di Rifondazione Comunista.

4) Il referendum sulla "Giustizia" e i processi di smantellamento dell'unità del Paese contro la Costituzione

In questo quadro sta per arrivare la campagna referendaria sui temi della giustizia. Il progetto sottoposto a consultazione è un elemento costitutivo del disegno autoritario delle destre e parte fondamentale del progetto di subordinazione della magistratura al potere esecutivo, funzionale al rafforzamento dell'apparato repressivo/securitario dello Stato.
Un'operazione messa in atto per tutelare i potenti e i corrotti, l'arbitrio dei governanti e per criminalizzare le lotte, perseguire i soggetti più deboli della società e rafforzare le politiche razziste contro i migranti, che in Europa stanno conducendo governi di tutti gli schieramenti.

Parallelamente, il Governo sta portando avanti il processo di smantellamento dell'unità della Repubblica attraverso provvedimenti e forzature normative quali la delega al governo per la definizione dei Lep e la stipula di "pre-intese" con alcune regioni del Nord per la devoluzione di importanti materie. Queste iniziative, in contrasto con i principi di eguaglianza dei diritti, contraddicono e aggirano la sentenza 192/2024 con cui la Corte costituzionale aveva sanzionato aspetti essenziali della legge Calderoli 86/2024, richiamando la centralità del Parlamento e l'assoluta priorità dell'interesse generale.
È necessario impegnarsi per sconfiggere il disegno delle destre, unificando le lotte per la democrazia, minacciata in tutto il continente europeo dalla criminalizzazione del dissenso e dalla militarizzazione della società.

La difesa di una giustizia giusta deve andare di pari passo con la difesa di diritti uguali ed esigibili per tutti e tutte, la libertà d'insegnamento nelle scuole, la libertà di dissentire sul regime razzista, fascista e sionista di Israele; con la lotta per il ripristino del proporzionale nelle elezioni a tutti i livelli e per il ritorno della Costituzione nei luoghi di lavoro. Per altro verso, memori della recente campagna referendaria e dei suoi limiti, riteniamo decisivo ai fini di un allargamento della consapevolezza e della partecipazione attiva, connettere questi temi, la giustizia non condizionata, la libertà e la democrazia, la parità dei diritti indipendentemente dal certificato di residenza, a una più ampia lotta in grado di parlare
ai ceti popolari e alla loro condizione di vita. Solo questo tipo di intreccio può garantire un contrasto effettivo e allargato al progetto distruttivo delle destre.

Impegni da assumere:

  • Proseguire con l'impegno contro la guerra lavorando alla costruzione di una grande campagna nazionale contro il riarmo e le spese militari e a sostegno di salvaguardia e rilancio dell'welfare. Connettere questa campagna alla difesa degli spazi di democrazia e dissenso, come si è fatto nel caso di Torino.
  • Proseguire con la denuncia del carattere antipopolare della legge di bilancio 2026 con la quale il governo prosegue le politiche neoliberiste a senso unico: foraggiare i padroni e i banchieri, aumentare le spese militari e continuare l'erosione del reddito e dei diritti dei lavoratori e dei ceti popolari.
  • Sostenere nei luoghi di lavoro, in tutte le strutture autorganizzate di base e all'interno delle organizzazioni sindacali la necessità di unificare le lotte e rilanciarle come condizione imprescindibile per sfondare il muro dell'intransigenza antipopolare del governo e le complicità di un'opposizione su posizioni neoliberiste. Con queste finalità ci attiviamo a sostegno di percorsi dal basso, come quello avviato con l'appello firmato da migliaia di lavoratori e delegati per lo sciopero unitario tra Cgil e sindacati di base.
  • Rilanciare con forza l'impegno a sostegno dei diritti del popolo palestinese in Cisgiordania e Gaza facendo una azione di controinformazione e di mobilitazione. Nella campagna occorre combattere ogni complicità col regime di colonizzazione e apartheid, smascherare il sistema di occupazione, contrastare le proposte di legge che equiparano antisionismo e antisemitismo.
  • Rafforzare il nostro impegno nella campagna per la liberazione di Marwan Barghouti
  • Costruire comitati contro la manomissione della costituzione sui referendum sulla giustizia.
  • Rilanciare la mobilitazione contro l'autonomia differenziata, sostenendo tutte le iniziative previste in diverse regioni il 19 dicembre, come momento unitario di lotta e di convergenza contro la frammentazione dei diritti e dello Stato sociale.
  • Concludere la campagna di tesseramento rendendo trasparente e partecipata la gestione dei dati

17 dicembre 2025

Valeria Allocati, Daniela Alessandri, Fabrizio Baggi, Nicola Candido, Giovanna Capelli, Alberto Deambrogio, Eliana Ferrari, Paolo Ferrero, Loredana Fraleone, Stefano Grondona, Tonia Guerra, Roberta Leoni, Ezio Locatelli, Nando Mainardi, Vito Meloni, Dmitrij Palagi, Antonello Patta, Tania Poguish, Claudia Rancati, Monica Sgherri, Silvia Stocchetti, Roberto Villani

 

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