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CPN 22 - 23 ottobre 2025

Giovanni Barbera

Nell'ultimo mese, grazie anche all'iniziativa della Global Sumud Flotilla, che ha colpito l'immaginario collettivo, abbiamo registrato mobilitazioni imponenti e diffuse in tutte le città italiane a sostegno della Palestina. Queste mobilitazioni si sono sviluppate principalmente su un piano di indignazione morale di fronte al genocidio in corso a Gaza: un moto spontaneo e necessario di coscienza civile, ma non ancora un movimento politico strutturato, capace di elaborare una visione complessiva di trasformazione e di rottura con l'ordine esistente.

Già oggi si può osservare un riflusso legato al cessate il fuoco recentemente annunciato. Pur non trattandosi di un accordo di pace, l'effetto psicologico dello stop momentaneo ha ridotto la partecipazione nelle piazze. Ciò dimostra che resta molto lavoro politico da fare: occorre consolidare queste mobilitazioni e dar loro un respiro più politico e organizzato, coinvolgendo i soggetti protagonisti delle piazze e delle iniziative, a partire dai territori.
L'obiettivo è rafforzare i nostri gruppi dirigenti locali e promuovere iniziative che colleghino la questione palestinese con la crisi generale del modello di società occidentale: un modello che non risponde più ai bisogni sociali, produce guerre e riarmo, impoverisce le classi popolari e restringe progressivamente gli spazi di democrazia e di dissenso.

Dobbiamo quindi trasformare l'indignazione morale in coscienza politica e organizzazione, costruendo radicamento territoriale e capacità di intervento su più piani: sociale, internazionale e democratico. In questa direzione saranno fondamentali i comitati referendari della CGIL e le mobilitazioni contro la legge di bilancio 2026, segnata dal riarmo e dal definanziamento dei servizi pubblici. La manifestazione nazionale della CGIL a Roma rappresenta un passaggio decisivo per aprire nuovi spazi sociali e politici, dentro i quali il nostro partito deve saper agire con efficacia.
Negli interventi precedenti si è enfatizzato il risultato della lista Toscana Rossa, presentandolo come segnale di rinascita generale della sinistra di alternativa. È invece necessario precisare che si tratta di un contesto specifico. In Toscana il nostro partito è storicamente più radicato e organizzato rispetto ad altre regioni, e questo si traduce da sempre in risultati superiori alla media nazionale. Inoltre, in quella competizione elettorale, le liste in campo erano soltanto tre: centrosinistra, centrodestra e Toscana Rossa — una condizione del tutto eccezionale rispetto alla normalità italiana, dove le schede elettorali sono lenzuoli.

La lista ha così beneficiato di una visibilità straordinaria, attirando anche una parte significativa di elettori del Movimento 5 Stelle contrari all'accordo con il candidato Giani, e apparendo come unica alternativa ai due poli principali. Per questo motivo, il risultato toscano non può essere generalizzato. I dati nazionali lo confermano: secondo l'ultimo sondaggio BidiMedia, il nostro partito è stimato allo 0,7%, lo stesso livello di Potere al Popolo. Nonostante le grandi mobilitazioni per la Palestina, non si registra dunque una crescita politica o elettorale significativa.

Dobbiamo essere realisti e con i piedi per terra. Non possiamo enfatizzare mobilitazioni o risultati elettorali per riproporre vecchie scorciatoie, come la linea del terzo polo e dell'isolamento, che negli ultimi anni ha prodotto un forte indebolimento del nostro partito sul piano politico, organizzativo e militante. Abbiamo invece bisogno di rimettere in carreggiata un partito capace di intrecciare iniziativa politica e radicamento sociale, di stare dentro i conflitti reali e di costruire, a partire dai territori, una forza comunista organizzata, credibile e riconoscibile. Un partito capace di costruire alleanze con tutti quei soggetti di massa che condividono con noi il no al riarmo, il no alla guerra, il no alle politiche antipopolari, la difesa della democrazia e la volontà di contrastare la deriva autoritaria che attraversa il Paese.
Solo così potremo ricostruire la credibilità politica che abbiamo disperso, restituendo al partito la sua funzione storica: essere strumento di lotta, di organizzazione e di trasformazione sociale.

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